Dopo l'Unità d'Italia non esisteva una Banca Centrale, cioè un istituto di emissione di diritto pubblico, che gestiva la politica monetaria del nascente regno. Inoltre, era assente un mercato interbancario che assicurasse lo scambio di liquidità tra banche. Si verificarono, quindi, crisi di liquidità e fallimenti del Mercato Finanziario Italiano. La crisi del mercato monetario mondiale del 1863 spinse i risparmiatori a ritirare la moneta metallica in cambio di banconote. Il Governo italiano, allora, introdusse il corso forzoso e il corso legale della cartamoneta nel 1866. Il provvedimento, però, sollevò critiche e dibattiti tanto da essere ricordato come la "Questione Bancaria". In realtà, il governo venne accusato di voler favorire gli istituti di emissione.
La creazione del Consorzio Obbligatorio di Istituti di Emissione tra le 6 banche esistenti si rivelò insufficiente. Intorno al 1890, lo "Scandalo della Banca Romana", facente parte del consorzio, contribuì a complicare la situazione del Mercato Finanziario Italiano. Vennero scoperte, infatti, operazioni illecite compiute dal Governatore della Banca Romana nel decennio precedente. Nello scandalo furono coinvolti parlamentari, ministri e giornalisti. Si rese così necessario un riordino generale degli Istituti del Consorzio che culminò con la fondazione della Banca d'Italia che mise in liquidazione la Banca Romana. La Banca d'Italia conservò la forma di società privata ma fu assoggettata a controlli pubblici al fine di evitare il replicarsi degli scandali.
Situazione finanziaria all'inizio del '900
Tra il 1897 e il 1907 si assistette ad un consistente sviluppo dell'industria con il conseguente aumento degli investimenti. Le banche finanziarono le imprese. Le 59 società in borsa del 1900 arrivarono a 169 nel 1907. Purtroppo, dopo questa data le cose precipitarono nuovamente. Il mercato finanziario italiano subì le conseguenze della crisi di liquidità internazionale. I tassi di interesse a breve periodo salirono vertiginosamente ma la crescita economica proseguì. Nel corso degli anni '20, ormai, le banche finanziavano le grande imprese fino ad assumerne il controllo, con il conseguente immobilizzo bancario.
Negli anni '30, le banche miste che avevano sostenuto le imprese si ritrovarono in serie difficoltà dovute alla precarietà dei fidi concessi, ad una caduta delle quotazioni azionarie e ai continui interventi creditizi da dover attuare per risanare la crisi del Mercato Finanziario Italiano. Fu così che venne varata la Legge Bancaria che segnò il divario tra banche e imprese. Nel 1931 venne fondato l'IMI, l'Istituto Mobiliare Italiano, un ente di diritto pubblico che concedeva sostegno alle imprese attraverso l'emissione di obbligazioni. Nel 1936 la legge bancaria assegnò alla Banca d'Italia il compito di vigilare sulle banche esistenti, su quelle di nuova apertura e sulla gestione della politica monetaria.
Mercato finanziario dalla metà del '900 a oggi
Dopo la seconda guerra mondiale si cercò di attuare dei piani di sviluppo per molte aree del paese, come il Meridione. Nel contempo, il Mercato Finanziario Italiano si apriva verso i mercati internazionali. Negli anni '90, la crescita e lo sviluppo misero in evidenza alcune lacune della Legge Bancaria, per cui si rese necessario un adeguamento ai nuovi scenari. Le banche in forma di S.p.A. non furono più soggette a controlli pubblici. Quindi, si realizzò una continua trasformazione delle banche in società per azioni. In seguito alla privatizzazione delle banche, i risparmiatori cominciarono a investire in azioni. La situazione attuale può essere definita come "incerta". I tassi sono a livelli minimi, la crisi persiste e la Borsa ha risentito della crisi della Grecia e di Cipro. La convinzione di poter controllare i rischi ha messo l'economia sia nazionale che internazionale in una fase di incertezza.
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